Donatella di Cesare, su La Lettura di domenica 16 febbraio, nel pieno dello sviluppo dell’epidemia di Coronavirus che sta modificando il modo in cui interagiamo con gli altri, ci racconta della tendenza contemporanea delle democrazie occidentali a costruire barriere, ad evitare contaminazioni, contatti con l’altro vissuti come esperienze sempre pericolose.
La teoria è che in questo frangente in cui cresce l’angoscia per il contagio, in cui si innalzano barriere tecnologiche e fisiche contro il virus, ci sia nella società occidentale una uguale tendenza sociale per cui il nostro modello di democrazia non sia più l’antica partecipazione di tutti come nella polis (donne e schiavi esclusi ) alla res pubbica, ma il noli me tangere, non mi toccare. Se l’interesse supremo del cittadino è la propria sicurezza, la libertà diviene garanzia di immunità e il corpo del cittadino che vive nella democrazia liberale diventa intangibile, soprattutto da chi cittadino non è. Questa contrapposizione tra dentro e fuori, tra noi e loro, giustifica la coesistenza apparentemente ossimorica di richieste di diritti di inclusione per tutti e l’indifferenza per la sorte di quell’umanità intoccabile (quasi dei dalit verrebbe da pensare) che “inesorabilmente sarà esposta a guerre, genocidi, fame, malattie, denutrizione…”. Perché ciò che inevitabilmente accade a questi soggetti è la non inclusione: all’immunizzazione salvifica di chi è dentro la società occidentale fa da contraltare l’esposizione/condanna di chi non ne fa parte.
Ecco il doppio binario su cui sembra viaggiare la nostra democrazia.
Ma in un’epoca in cui, sui social, vanno in scena attacchi e una sorta di tutti contro tutti, è per Di Cesare importante far notare che è sbagliato mettere la discussione su un piano morale individuale: queste non sono le scelte di singoli individui (anche se viene da chiedersi fino a che punto i singoli siano innocenti di fronte alla barbarie quotidiana) ma questioni eminentemente politiche.
Altra puntualizzazione importante è l’ulteriore divisione tra “in” e “out” anche all’interno della democrazia immunitaria: l’intangibilità non vale per un senzatetto o per le donne discriminate sul posto di lavoro.
Ecco quindi alla fine che, in una democrazia immunitaria, il corpo del cittadino va difeso non solo da minacce vere, ma anche da contatti indesiderati e potenziali portatori di minacce: il cittadino vive in preda alla nevrosi, identifica nemici immaginari, untori (o perché no, terroristi) e si preclude l’esperienza dell’altro, del diverso da sé.
Ma in tempo di immunitas viene meno la communitas e il singolo rischia di assomigliare sempre più ad una barchetta di carta in mezzo al mare…